A cura di Antonio Borgia

In un recente convegno torinese di Libera è stata rilanciata l’ipotesi di una mafiosizzazione della società, nell’ottobre 2011 già indicata dall’allora magistrato Antonio Ingroia come in grado di agevolare il fenomeno criminale.

Nelle regioni settentrionali e nel tempo, le mafie hanno sviluppato un patrimonio di conoscenze da sfruttare per i propri obiettivi. Così, imprenditori, politici, amministratori e professionisti hanno avviato rapporti con le cosche, in modo maldestro o, addirittura, con orgoglio. Parallelamente, i mafiosi hanno cercato il consenso della popolazione, in vista del successivo controllo del territorio.

In parole povere, si è aperta una breccia inquietante nella cultura e nel modo di concepire le relazioni sociali. La sentenza del processo «Barbarossa», che ha svelato la presenza della ‘ndrangheta nell’astigiano, sembra delineare questo fosco scenario.

Si è appreso, infatti, di cittadini che hanno chiesto, ai membri del “locale”, la tutela personale o la punizione degli autori di vari reati, imprenditori che hanno sollecitato il recupero di crediti o stipulato accordi per vincere la concorrenza, la titolare di un supermercato che desiderava licenziare un dipendente senza ripercussioni legali, dirigenti di società calcistiche che chiedevano consigli su come operare ed altro ancora. La domanda sorge spontanea: ci stiamo mafiosizzando anche noi?

Urge un esame di coscienza collettivo e una dose massiccia di informazione atta a creare anticorpi.

Coordinamento provinciale Libera Asti

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