A cura di Antonio Borgia

Ci stiamo abituando a leggere, sui media, del ricorrente coinvolgimento anche di liberi professionisti nelle varie inchieste antimafia svolte sul territorio nazionale.

L’ultimo caso, poche settimane fa, riguarda l’operazione «Cavallo di Troia» della Ddd di Torino, eseguita dalla Guardia di Finanza, in cui è stato accertato, secondo le notizie diffuse dagli organi investigativi, l’illecito contributo fornito da un commercialista astigiano alla cosca di ‘nrangheta di Carmagnola, per una frode fiscale realizzata mediante l’impiego di crediti Iva inesistenti. L’utilizzo dei «colletti bianchi» è indispensabile alle mafie, specialmente per sopperire alla carenza di capacità professionali nei vari settori di interesse criminale.

A tal proposito, è divenuta di uso comune la definizione «zona igia», indicante, secondo l’osservatorio sulla criminalità organizzata dell’Università di Milano, «un insieme di moli e professioni che concorre, con diversi gradi di intenzionalità specifica, al successo delle strategie mafiose».

In pratica, esiste un mondo di mezzo in cui liberi professionisti, imprenditori e politici, operanti spesso nelle nostre regioni settentrionali, si prestano a favorire gli interessi delle varie cellule criminali, pur consci delle gravi conseguenze. penali del loro operato.

Sorprende la faciloneria con la quale si possa accettare il concreto rischio di distruggere credibilità, carriera e famiglia solo per rincorrere l’irrefrenabile desiderio di un celere arricchimento.

Coordinamento provinciale Libera Asti

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