A cura di Isabella Sorgon

«Meglio morta che separata», secondo mio padre. Mi chiamo Rosalia Pipitone, Lia per gli amici; ho 24 anni e sono figlia di un boss mafioso palermitano. Per la mia famiglia, non potevo separarmi da mio marito. Mi hanno uccisa, inscenando una rapina, il 23 settembre 1983.

Io sono Teresa Buonocore, uccisa nel 2010, a Napoli, da sicari assoldati da un camorrista pedofilo, mio vicino di casa, che ho fatto condannare a 16 anni per gli abusi su mia figlia minorenne.

Il mio nome è Lea Garofalo. La sera del 24 novembre 2009 ero a Milano, su insistenza del mio ex marito Carlo, ‘ndranghetista, per accompagnare mia figlia Denise a far visita ai familiari del padre. Con una scusa, lui mi ha fatto salire in un appartamento di Corso Sempione, dove mi ha picchiato e strangolato. Sotto lo aspettavano due amici di famiglia che hanno fatto sparire il mio corpo. Per anni hanno tentato di far credere a mia figlia che fossi scappata via. Solo nel corso di un processo per mafia, nel 2012, in cui erano imputati il mio ex marito e i suoi complici, è venuta fuori la verità sul mio omicidio, con le successive confessioni.

Mi chiamo Graziella Campagna e sono nata a Saponara, in provincia di Messina. Ho 17 anni e lavoravo in una lavanderia di Villafranca Tirrena. Nella tasca di una camicia di un cliente conosciuto come “Ing. Cannata”, ho trovato un’agendina che rivelava il suo vero nome, quello di un mafioso palermitano latitante. La sera del 12 dicembre 1985, dopo il lavoro, mi sono incamminata verso la fermata dell’autobus, per tornare a casa, dove non sono mai arrivata. Hanno cercato di far credere che avevo fatto una “fuitina”, ma due giorni dopo hanno trovato il mio corpo, nelle campagne della vicina Seminara, crivellato da 5 colpi di lupara.

Vogliamo fare memoria delle storie di queste mogli, madri e figlie, per celebrare il 25 novembre, Giornata Mondiale contro la violenza sulle donne, con il pensiero rivolto alle 93 vittime femminili, innocenti, di mafia.

Ricordare oggi queste vittime della violenza subdola e maschilista delle mafie, insieme a tante altre donne uccise, ci aiuti a comprendere l’urgenza di una riconversione culturale di genere; è importante non perdere il senso di indignazione profonda per questo odioso crimine, ma soprattutto rinnovare l’urgenza di un impegno concreto di pressione politica e culturale, qui ed ora, perché il problema del femminicidio è prima di tutto un problema educativo e culturale di cui ognuno di noi deve farsi carico quotidianamente.

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